|
Il mio Asus in posa sul balcone del mio bungalow
a Pai, Thailandia del nord.
|
Diventare nomadi
digitali è un po’ come diventare missionari: è più una vocazione che una scelta
di professione.
La vita, lo
sappiamo, è abbastanza fantasiosa e imprevedibile e quasi mai le cose vanno
esattamente come sognavamo da piccoli. Può capitare, così, che un giorno ci svegliamo
dentro un ufficio a fissare gli spostamenti lentissimi della lancetta
dell’orologio pronti a scattare come velocisti al termine dell’ennesima, infinita,
pallosissima, svilente giornata di lavoro.
Molto meno probabile, invece, che un
giorno ci scopriamo nostro malgrado con un laptop in mano, lo zaino sulle
spalle e un paese lontano miglia e miglia da casa con cui prendere confidenza.
Nomadi digitali
non lo si diventa per caso: si sceglie di esserlo. Una di quelle scelte che si
fanno con una mano sul cuore, più che sul portafogli (aimè).
Una di quelle
scelte che spesso vengono prese molto, molto tempo prima di salire alla
superficie della coscienza.
Quel turbinoso
e sorprendente percorso che si chiama vita
La vita assomiglia
a uno di quei sentieri di montagna sterrati pieni di sassolini, curve, salite e
discese che si intrufolano in mezzo alle sterpaglie, spariscono dentro un bosco
e all’improvviso si aprono su una vallata, un prato, la cima di una collina...
il tempo di prendere una bella boccata d’aria e via di nuovo: sterpaglie,
bosco, curve, salite, discese... Insomma, una cosa confusa e faticosissima e
apparentemente priva di ogni parvenza di coerenza e linearità!
Ma hai presente
quei quadri composti da tante piccole immagini che assumono un senso e
un’armonia solo se visti a distanza? Ecco, la vita è uguale: un turbinoso caos
vista da vicino, una collana di perle in cui un prezioso rimanda all’altro vista
da lontano.
|
C'è anche De Andrè tra gli incredibili fotomosaici dell'artista Maria Murgia. |
Ecco, se io mi
distacco da me a sufficienza e guardo indietro al mio percorso, capisco che non
sarei potuta diventare altro che una nomade digitale a un certo punto del mio cammino.
La sofferenza di stare chiusa dentro un ufficio, l’impazienza che mi prendeva
dopo un po’ che facevo lo stesso lavoro, i licenziamenti, l’intolleranza agli
orari fissi, il bisogno fisiologico di un orario ridotto e di quella flessibilità
che mi consentisse di mollare tutto per almeno un mese e partire per un
viaggio... mica erano (solo) nevrosi, mica erano (solo) manifestazioni della
sindrome di Peter Pan! Ero più che altro io che cercavo in tutti i modi di dire
con chiarezza a me stessa ciò che non mi rendeva felice.
Come fare per
essere felice non mi era del tutto chiaro, e forse non lo è nemmeno adesso, ma
poco importava: delineare bene i confini di quello che non si vuole è un
ottimo modo per capire quello che si vuole.
Quando è iniziato
il mio percorso di smarcamento da quello che mi succhiava energia, come capita
sempre con cio’ che non ci rende felici, non sapevo ancora che volevo fare la
nomade digitale, nemmeno sapevo che potesse esistere qualcosa di simile. Ma
sapevo molto chiaramente che volevo tre cose:
1. Fare un lavoro che mi appassionasse.
2. Ridurre le ore di lavoro.
3. Vedere il mondo.
E tutti i
cambiamenti di questi anni, le porte chiuse, gli spiragli aperti, le
opportunità afferrate, quelle lasciate andare, persino le fregature e i “passi
indietro”, tutto, tutto a vederlo ora, è stato funzionale al percorso che mi ha
portato un anno fa sulla cima di quel monte a
prendere la decisione che mi avrebbe
cambiato la vita: diventare nomade digitale.
I 9 segnali da non sottovalutare
Certe volte però fare due passi indietro per osservarsi a distanza è
davvero difficile, la vita con le sue incombenze di tutti i giorni, i casini,
le preoccupazioni, è bravissima a intorpidire le acque e a inglobarci come un
blob.
In questi casi allora
può esserti di aiuto conoscere i segnali che dovrebbero farti rizzare le
antenne.
I segnali, nove
per la precisione (non volevo fare l’originale, è che il decimo non mi è venuto
proprio in mente), che dovrebbero farti fermare per un momento, staccare la
spina da quello che stai facendo e focalizzare l’attenzione su di te. Per
capire quello che vuoi fare, o almeno quello che non vuoi fare. E magari
scoprire che anche tu, sotto la tua cravatta a pois e la tua agenda elettronica
strapiena, non sei altro che l’ennesimo potenziale missionario del nomadismo
digitale.
① La routine
ti fa sentire con un cappio al collo
|
Il mio amico nomade digitale Jonathan Pochini mentre sfida l'impietoso sole aussie a Bondi Beach, Sydney, Australia.
|
Ho sempre avuto
rapporti molto burrascosi con la routine. Che sia sul lavoro o nella vita
relazionale, quando le cose si succedono sempre uguali, scandite da orari fissi,
luoghi fissi, parole fisse, gesti fissi, gente fissa beh a me prende l’ansia.
Non posso farci niente.
Intendiamoci, non sono contraria alla routine tout
court, anzi, darsi una qualche
regolarità e un po’ di disciplina nella vita quotidiana non solo non è
sbagliato, ma è indispensabile, perché senza qualche punto saldo la vita di chi
come me tende alla vaghezza rischia di farsi talmente leggera da volare via.
Quello a cui sono estremamente contraria è la ripetitività che nasce dalla
paura di cambiare, dalla paura di sbagliare, dalla paura di non avere più tutto
sotto controllo. La routine è un’enorme distesa di sabbia sotto cui spesso e
volentieri si nasconde la testa. Ma è anche una questione di indole: c’è chi
nel fare sempre le stesse azioni, avere sempre lo stesso lavoro, vivere sempre
nello stesso posto, ci sguazza come un bimbo nel liquido amniotico, e c’è chi nelle
medesime condizioni comincia ad annaspare in cerca di una bolla d’aria per
rubare un pizzico di ossigeno.
Se anche tu
appartieni a questa seconda categoria, non è detto che diventerai un nomade
digitale, ma difficilmente ti troveremo allo sportello delle poste.
② La
precarietà ti fa sentire a tuo agio
Se la routine ti
dà noia è facile che nella precarietà tu ti senta a tuo agio. Nella vita in
genere e nel lavoro in particolare. Inquietantemente a tuo agio, perché, sappilo,
sei una nota stonata in questo mondo che vede nel precariato la sua nuova
peste.
La generazione
dei miei genitori, quella divenuta adulta durante il boom economico degli
anni Sessanta, è cresciuta con il mito del posto fisso. Dopo gli stenti della
guerra era un privilegio cui rendere onore assicurarsi uno stipendio su cui
contare per il resto della vita e costruire casa. Normale che dal loro punto di
vista il precariato sia una tragedia, come è normale che dal nostro punto di
vista sia semplicemente un dato di fatto. Ed è indubbio che la cosiddetta "flessibilità" del mondo del lavoro per qualcuno sia stata la più grande fortuna che potesse capitargli, perché gli ha fornito la
scusa perfetta per fare ciò che probabilmente avrebbe fatto comunque,
solo con molti più sensi di colpa: abbracciare voluttuosamente il precariato (guarda il video sopra per vedere come il precariato viene vissuto a Hubud, il coworking space di Ubud, Bali).
L’unico lavoro a
tempo indeterminato che ho avuto l’ho lasciato dopo due anni per andare in
Australia. Da allora non mi è più stato offerto, ma lavori full time sì, e
ho rifiutato anche quelli. Volevo mantenere il tempo per fare quello che mi piaceva,
volevo trovare il modo di lavorare per conto mio, volevo concedermi il lusso di
decidere a cosa dedicare attenzione ed energie senza imposizioni dall’alto.
Volevo, insomma, con tutte le mie forze, essere precaria!
Se anche tu
alla prima occasione gridi al mondo “Sono un precario e me ne vanto” benvenuto
nel club... e che l’iva abbia pietà di te!
③ Non sei
attaccato agli oggetti
|
Per un po' anche questa è stata la mia casa. |
Quando ero
piccola conservavo tutto: le gommine del Mulino Bianco, gli adesivi, le figurine per giocarci
con gli amici in fondo alla via. Crescendo il feticismo è passato
a cose più “nobili”: i diari scolastici, i libri, i quaderni dove annotavo tutti
i miei voli pindarici e gli abbozzi di romanzi che cominciavo sempre e non
finivo mai. A sedici anni rubai un ciuffo biondo al ragazzo di cui mi ero
follemente innamorata e lo conservai dentro una scatolina per anni.
Poi
crescendo la presa sugli oggetti ha cominciato ad allentarsi. Non per una
decisione cosciente, semplicemente è successo che ho cominciato a
prestare sempre meno attenzione alle “cose”. Sono l’unica persona di mia conoscenza che non è mai andata a ritirare il diploma di laurea.
Questa leggerezza
nei confronti del materiale mi è stata utilissima negli anni successivi, quando
dopo avere abbandonato il nido natale ho cominciato a collezionare traslochi. Non
che mi trasferissi con pochi bagagli, anzi ogni volta mi trascinavo dietro una
quantità di scatoloni che non si capiva da dove spuntassero fuori, ma a ogni
trasloco il contenuto di quegli scatoloni era diverso, ogni volta mi portavo
dietro cio’ che in quel momento mi sembrava potesse servirmi. Niente orpelli
del passato, niente ricordi senza i quali non avrei potuto vivere. Se la mia
casa avesse preso fuoco avrei utilizzato i famosi 5 minuti prima di fondere
guardandomi intorno spaesata senza sapere cosa salvare.
Se anche la
tua vita essenziale sta dentro uno zaino e tutto ciò che conta
davvero è qualcosa di impalpabile che non occupa spazio, come le persone, sappi
che il tuo è un animo nomade e quello sì che ti accompagnerà per il resto della
tua vita.
④ Ogni volta
che sei in pausa guardi Skyscanner per scoprire le migliori offerte di volo
|
Aeroporto di Ko Samui, Thailandia del sud. |
I datori di
lavoro dovrebbero inserire nella black list dei siti da bannare durante
l’orario di ufficio i motori di ricerca dei voli. Poco che tu abbia il pallino
dei viaggi, Facebook in confronto a Skyscanner è un passatempo innocuo. Non so
tu, ma io riesco a passare ore intere su queste moderne rappresentazioni del
paradiso terrestere a provare ogni possibile combinazione. Poi io sono un caso
un po’ patologico, perché certe volte mi
prende la voglia di andare ovunque, e hai presente quanti aeroporti
contiene ovunque?
Se anche tu
sei un drogato di Skyscanner, Volagratis, Opodo, Jetcost e compagnia (aerea) bella,
comincia a preoccuparti seriamente: il tuo pare a tutti gli effetti un fancazzismo
che batte a tempo di nomadismo digitale!
⑤ Ami i film,
i libri, la musica, le persone che narrano di terre lontane
|
Didjin'Oz: il festival di musica, arte e cultura australiana che si tiene ogni anno a Forlimpopoli (FC). |
Ami la cucina
etnica, i festival interculturali, i concerti di musica popolare, africana,
brasiliana e balcanica. Ami aggirarti per i mercatini in cerca di un borsellino,
una sciarpa, un braccialetto etnico, i negozi di Altromercato sono la
tua seconda casa e passeresti giornate intere a visitare mostre fotografiche che raccontano di universi sconosciuti.
Poi ci sono i libri e i film, naturalmente, e qui l’interesse
si fa quasi maniacale, perché a seconda del paese di interesse del momento
cominci a leggere tutto quello che trovi sull’argomento. Quando mi innamorai
dell’Australia cercai ogni parola vergata su carta che mi narrasse della mia
amata terra rossa: Chatwin, Marlo Morgan, Bill Bryson, Julia Blackburn... ma
anche emeriti, meritevolissimi sconosciuti che raccontavano la terra bruciata
dal sole dal loro personalissimo punto di vista. Una volta mi feci accompagnare
a vedere un film in gran parte in lingua aborigena sottotitolato: il mio
accompagnatore fu stoico e rimase fino alla fine, ma non si fece vedere mai
più.
Se anche tu
sei un compulsivo riguardo a tutto ciò che è etnico, forse
è arrivato il momento di chiedersi cosa c’è sotto: che il tuo inconscio ti stia
urlando che devi partire?
⑥ Il tuo
picco di concentrazione cade solitamente in orari extra ufficio
|
Ecco come si finisce quando non si possono rispettare i propri personalissimi picchi di concentrazione... |
Il mio picco di
concentrazione di solito si aggira tra le 6.30 e le 9 del mattino. Quando si
faceva ora di andare in ufficio naturalmente mi si era bello che spento e al
mio computer riuscivo a dedicare solo gli strascichi di quel momento di
illuminazione quotidiano. Conosco molti creativi che invece danno il meglio di
sé a notte fonda, quando gli altri dormono, e questo spesso è un problema, a meno che tu non
abbia un lavoro svincolato da orari di ufficio e la possibilità di
autoregolarti come meglio credi, e allora può anche diventare un
vantaggio. Se sei nomade digitale e lavori con clienti italiani il fuso orario
spesso ti verrà incontro, facendo combaciare la tua massima resa con gli orari
di ufficio altrui.
Se il tuo
cervello tocca le vette più alte alle 4 del mattino, dovresti prendere in considerazione l'idea di diventare fornaio. Oppure nomade digitale.
⑦ Le parole
che digiti con maggiore frequenza su Google sono “mollo tutto” e “ricomincio a
trent’anni (quaranta, cinquanta...)”
I mesi precedenti
alla grande decisione di mollare tutto e iniziare finalmente ad ascoltare la mia
indole errabonda, passavo gran parte del mio tempo su internet a cercare storie
di chi prima di me aveva fatto il grande passo. Che finché hai vent’anni il
mollare tutto è più frequente del tenersi tutto, ma quando cominci ad
avvicinarti agli “anta” gli esempi cominciano a diminuire drasticamente,
soprattutto se i tuoi anta sono di genere femminile. Digitavo come in preda a
un raptus le parole chiave che mi premevano, e cominciai a scoprire quel
meraviglioso mondo che ruota attorno a siti come Vogliovivere così, Nomadidigitali, Mollo tutto ecc.: un universo di anime inquiete che vedevano nel
mondo il giardino di casa loro. Ricordo ancora che quando mi imbattei nel blog
di Eli Sunday Siyabi Too happy to be homesick mi sentii come un cieco che all’improvviso
riacquista il dono della vista: allora non ero l’unica folle che sogna di
ricominciare da capo a questa età traditrice! Da lì mi si aprì un mondo. Che mi
ha portato qui in Thailandia.
Anche tu pensi
che se un immenso blackout cancellasse dalla faccia della terra questi siti
illuminanti tanto varebbe tagliarti l’indice di entrambe le mani perché non
sapresti più cosa digitare su Google? Questo, mi spiace, ma è allarme rosso!
⑧ A
quarant’anni non hai ancora messo su casa
|
Ricorderò sempre come mi guardò la mia guida laotiana quando gli confessai che non ero sposata, come a dire: "Dai di là verità, mi prendi in giro!" |
“Come dici? Hai
40 anni e... non hai figli?”
“... veramente ne
ho solo 39... ancora per qualche mese almeno.”
“Sì sì certo, ho
capito... ma un fidanzato? Quello ce l’hai?”
“Mmm... “
“...”
“... Ma non
doveva piovere oggi??”
Se in Italia
vieni considerata una faccenda un po’ bizzarra, sappi che in molti Paesi esteri
sei qualcosa di incomprensibile. Anzi no, diciamolo pure: una vera e propria
tragedia! Insomma, figlia mia, che c’è in te che non va?”
A parte che su questo ci sarebbe da scrivere un libro intero ...
... Se a 40
anni o giù di lì ancora svolazzi senza mai posarti e tutto ciò che sei riuscito a costruire è un mandala zoppo che fluttua al volere del
vento, sappi che potresti avere quella malattia pericolosissima, perché pure
contagiosa nella sua forma più grave, che risponde al nome di Sindrome del
nomade digitale.
⑨ L’idea di
svegliarti in un posto che non conosci in mezzo a gente che non conosci anziché
gettarti nello sconforto ti procura un brivido di eccitazione
Poche cose hanno
il potere di farmi sentire viva e trepidante come svegliarmi in un posto che
non ho mai visto prima. L’eccitazione della novità, la promessa di scoperte
indimenticabili, di scorci, esperienze, incontri che ricorderò per
tutta la vita. Ed essere lì da sola non è un limite (quello tutt’al più puo' diventarlo dopo), ma un bonus, perché aggiunge la libertà di gustarmi la novità
a modo mio, con i miei tempi, senza dovere scendere ai compromessi inevitabili
di quando spartisci il viaggio con un’altra persona.
Per qualcuno questo
scenario è di una tristezza infinita, per altri semplicemente un incubo. Per qualcun altro ancora, infine, un sogno ad occhi aperti.
Se l’idea di risvegliarti
dentro confini e contenuti ignoti ti fa sentire come un bambino che si sveglia
la mattina di Natale pensando ai regali che lo aspettano sotto l’albero, amico
mio non ti resta che una sola cosa da fare: aprire il browser e digitare www.nomadidigitali.it!
Se ti viene in mente questo fantomatico decimo punto scrivilo nei commenti qui sotto! Etichette: cambiare vita, nomade digitale, thailandia, viaggio